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Mark WaterburyQuesto sito web non è in alcun modo legato alle famiglie degli accusati, alla difesa o ad altri gruppi associati. Si tratta di un saggio scientifico redatto da esperti.
Quando è in gioco la vita e la libertà di un essere umano, ci si augura sempre che i professionisti facciano bene il loro lavoro. E invece c’è un lato oscuro nelle analisi tecniche svolte dalla dott.ssa Patrizia Stefanoni della Polizia Scientifica. Era in gioco la libertà di Amanda e Raffaele e la dott.ssa Stefanoni ha deciso di improvvisare. Ha creato un metodo man mano che procedeva nelle ricerche. Ha inventato l’improvvisazione scientifica. Da qualsiasi punto di vista le si osservi, le sue tecniche paiono in contrasto sia con la metodologia scientifica tradizionale che con il comune buon senso.
Alcune delle principali perplessità legate all’uso del profilo di DNA a basso numero di copie (qui per comodità abbreviato in “LCN”) sono state descritte nella prima parte di questo articolo. Ora vorrei porvi una domanda: A quale conclusione si può giungere confrontando il test eseguito dalla Stefanoni sul DNA rinvenuto sulla lama del coltello da cucina e le tecniche per individuare il profilo di DNA a basso numero di copie?
Per farla breve, il suo test è ancora meno attendibile.
“Ma la sostanza a disposizione era veramente esigua e se l’avesse utilizzata per rilevare la presenza di sangue non ne sarebbe rimasta abbastanza per individuare anche il DNA. Allora deve aver pensato: “O la va o la spacca” e ha estratto il 20% del materiale per eseguire l’analisi del sangue. Esito: negativo.
Il test è fallito, ma la dott.ssa Stefanoni non si è persa d’animo. Ha preso tutto quello che rimaneva, circa 20 microlitri, l’ha essiccato ottenendone 10 e ha eseguito il test del DNA. Anche questa volta, nulla. Ma la dott.ssa non si è arresa e ha iniziato ad amplificare il materiale finché non sono comparsi i primi picchi. Lo strumento non poteva andare oltre, ma qualcosa era venuto fuori, quindi bisognava isolarlo. La zelante biologa ha rotto gli indugi e ha continuato nel processo di amplificazione, finché, nella giungla intricata di picchi del rumore di fondo, sono comparsi alcuni alleli. Ha stabilito personalmente quali erano “stutter”, falsi positivi e alleli reali, et voilà! Ecco il profilo genetico di Meredith Kercher servito su un piatto d’argento a Renato Biondo, che ha provveduto a inoltrarlo tempestivamente a chi l’aveva assoldato, il pubblico ministero.
“Vi sono due comuni definizioni del profilo di DNA a basso numero di copie. La prima recita che il profilo che non raggiunge i normali limiti stocastici può essere considerato DNA a basso numero di copie. Ciò significa che quando il rumore casuale diventa notevole a causa delle ridotte dimensioni del campione, si può parlare di LCN DNA, non di DNA standard. La seconda definizione sceglie come criterio una soglia quantitativa: se si hanno a disposizione meno di 200 picogrammi di DNA, ad esempio, si può eseguire solo un’analisi LCN DNA. L’elemento critico nel nostro caso è il numero di molecole del modello originale presente nel campione, che non supera le 5-10 unità, ed è quindi veramente esiguo.
L’analisi del profilo eseguita dalla dott.ssa Stefanoni sul DNA rilevato sul coltello da cucina a casa di Raffaele si adatta a entrambe queste definizioni. La quantità di DNA estratta era talmente ridotta che lo strumento di analisi non ha individuato nulla finché la biologa non ha superato i limiti fissati. Il processo di amplificazione non è stato eseguito con la tecnica della reazione a catena della polimerasi (PCR). Poiché il campione era già stato sminuzzato e sottoposto a elettroforesi, non è stato possibile ricorrere alla PCR. L’amplificazione è stata ottenuta con altri metodi, come l’abbassamento del livello della soglia o la modifica della scala di visualizzazione per far comparire i minuscoli picchi di fluorescenza.
E questo rende il test eseguito dalla dott.ssa Stefanoni ancora peggiore dei vari metodi sperimentati per eseguire le normali analisi LCN. In genere, in questo tipo di analisi, il tecnico è ben consapevole del fatto che il campione è di dimensioni ridotte e piuttosto inconsistente, quindi prende tutte le precauzioni necessarie e utilizza un numero maggiore di passaggi di moltiplicazione PCR, solitamente 34 invece di 28, ottenendo un numero di molecole 2^6 (64) volte superiore per l’elettroforesi e l’osservazione della fluorescenza.
Tuttavia, è importante ricordare che i principali problemi dell’analisi LCN sono legati ai primi cicli di replicazione, quando le molecole sono poco numerose e qualsiasi differenza nel processo di replicazione rappresenta un artefatto significativo. È proprio quello che è accaduto con il DNA presente sul coltello da cucina, quindi abbiamo un valido esempio di quello che può succedere. Nel nostro caso, non solo sono stati introdotti questi artefatti, ma altri artefatti ancora, legati all’elevata amplificazione del debole segnale di fluorescenza, hanno aumentato il rumore del segnale che andava smaterializzandosi. E questo è uno dei difetti dell’analisi.
Vi è poi un secondo dubbio legato a questo cambiamento in corso d’opera della metodologia sperimentale. Poiché la dott.ssa Stefanoni non aveva preventivato di eseguire un’analisi del profilo LCN, ma pensava di attenersi all’analisi tradizionale, non ha apparentemente rispettato nessuno dei severi protocolli applicati negli altri laboratori che sperimentano l’analisi LCN. Le linee guida in vigore impongono tutti gli sforzi possibili per evitare contaminazione, consentire test di controllo, conservare una parte del campione per test successivi, eseguire test su due campioni per operare un confronto e regolare le fasi di elaborazione.
E anche se rispettano tutti i punti di questi rigidi protocolli, i profili LCN non vengono ammessi come prova dalla maggior parte dei tribunali del mondo. Ma osserviamo nel dettaglio queste fantomatiche procedure che dovrebbero rendere i test LCN riproducibili e affidabili. Metteremo così in luce tutte le mancanze della tecnica di improvvisazione scientifica della Stefanoni.
Le citazioni riportate provengono tutte dal Crown Prosecution Service del Regno Unito (indirizzo web "http://www.cps.gov.uk/publications/prosecution/lcn_testing.html" http://www.cps.gov.uk/publications/prosecution/lcn_testing.html) che sostiene l’uso dell’analisi LCN.
“Il test FSS LCN deve essere eseguito in un laboratorio perfettamente pulito ed è quindi molto più costoso e meno diffuso rispetto al test standard. Questo laboratorio dedicato è lontano da altre unità di analisi del DNA, richiede il rispetto di severi requisiti di ingresso ed è dotato di sistemi di aerazione a pressione positiva, illuminazione adeguata e dispositivi chimici in grado di ridurre al minimo la contaminazione del DNA.”
La procedura della dott.ssa Stefanoni, in netto contrasto con queste linee guida, è stata eseguita in un normale laboratorio di analisi del DNA, nelle vicinanze di altre unità. Un laboratorio perfettamente pulito, sistemi di aerazione a pressione positiva e sterilizzazione foto-chimica del DNA sono requisiti imprescindibili per evitare la contaminazione dei campioni. Per il suo test, la dott.ssa Stefanoni non si è curata di nessuno di questi fattori. Possiamo quindi individuare altre quattro mancanze della tecnica utilizzata.
“Nel test LCN, ogni campione viene suddiviso in tre parti o aliquote, due delle quali vengono analizzate. La terza viene conservata per ulteriori test, nel caso si verifichi un errore o si voglia una conferma della presenza di una mescolanza. Solo i componenti del DNA osservati due volte vengono inclusi nel calcolo, per garantire la riproducibilità del risultato.”
La dott.ssa Stefanoni ha utilizzato il 20% del campione per l’analisi del sangue, che ha dato un risultato negativo. Qualsiasi cosa ci fosse su quel coltello, non si trattava del sangue di Meredith. Successivamente, ha analizzato tutto il materiale restante insieme, cancellando qualsiasi possibilità di confrontare due risultati e di conservare materiale per test futuri. Secondo gli standard Crown Prosecution Service, i risultati ottenuti dalla Stefanoni dovrebbero essere respinti in base a entrambi i criteri. Aggiungiamo quindi altre due mancanze.
E ancora non è tutto. I laboratori che eseguono le analisi LCN si affidano a quelli che vengono chiamati “controlli negativi”. La citazione seguente è tratta dalla pubblicazione di The Law Society of Scotland, all’indirizzo: "http://www.journalonline.co.uk/Magazine/52-2/1003857.aspx" http://www.journalonline.co.uk/Magazine/52-2/1003857.aspx.
“Nella scienza forense l’obiettivo è stabilire che il profilo del DNA deriva dal materiale recuperato su una scena del crimine o da un sospetto, non da un investigatore, laboratorio, imballaggio o strumento di analisi. Un “controllo negativo” viene eseguito semplicemente analizzando un campione “vuoto”, privo di DNA. Imprevisti a parte, questo controllo dovrebbe evidenziare l’assenza di DNA. La presenza di DNA in un “controllo negativo” indica che il metodo di analisi ha consentito l’introduzione di una contaminazione. In se stesso, non spiega come è avvenuta questa contaminazione, ma solo che ha avuto luogo. Nel corso degli anni, la linea seguita, per ovvi motivi, è stata che il risultato del “controllo negativo” poteva invalidare l’analisi.
Anche in una procedura di analisi estremamente controllata, un numero significativo di controlli presumibilmente negativi dà un risultato positivo, indicando la presenza di DNA.”
La dott.ssa Stefanoni non ha apparentemente eseguito alcun “controllo negativo” con gli stessi parametri di sistema utilizzati per l’analisi del DNA sul coltello da cucina. Ecco un’altra mancanza.
E ribadiamo il concetto “In se stesso, non spiega come è avvenuta questa contaminazione, ma solo che ha avuto luogo”. Quando Sara Gino è stata messa alle strette, durante il controinterrogatorio, per sapere dove e come la dott.ssa Stefanoni avesse contaminato i campioni, non ha fornito una risposta esauriente, ma si è limitata a citare “la letteratura”. È una risposta davvero poco convincente. Ma come poteva sapere a che punto della fase di manipolazione o elaborazione aveva avuto luogo la contaminazione di 50 picogrammi di materiale? Si tratta di qualcosa per cui si esegue un test di presenza, non qualcosa che si può veder succedere. Anche se qualcuno avesse osservato il campione con un microscopio in tempo reale, sarebbe stato virtualmente impossibile rilevare l’involontario trasferimento di una quantità così ridotta di materiale. “La letteratura”, che riporta un elenco delle fonti più comuni di contaminazione da evitare, era in fondo la risposta più corretta.
Questi “controlli negativi” non rintracciano tutte le fonti di contaminazione, ma si concentrano sulla contaminazione che ha origine in laboratorio. Se il coltello da cucina fosse stato contaminato prima di essere stato scelto a caso dal cassetto di Raffaele, questo tipo di controllo non l’avrebbe rilevato. Lo stesso se il coltello fosse stato contaminato durante il prelevamento, il trasporto o in qualsiasi altro momento. Per evidenziare questo tipo di contaminazione si dovrebbero eseguire ulteriori “controlli negativi”, ad esempio su altri coltelli nel cassetto o su altre fonti, sottoposte alla stessa manipolazione del coltello. Niente di tutto ciò è stato fatto. E questa è un’altra, importantissima mancanza.
Possiamo dunque affermare che, sotto almeno nove punti di vista, l’analisi improvvisata del profilo LCN DNA della dott.ssa Stefanoni è stata una scelta persino peggiore dei soliti, incerti e inammissibili test LCN DNA.
1. L’amplificazione del DNA non è stata sufficiente; la debole fluorescenza è stata semplicemente gonfiata.
2. Il luogo in cui è stato eseguito il test non era a una distanza sufficiente dalle altre unità di analisi del DNA per impedire la contaminazione.
3. Non sono state utilizzate procedure di ingresso specializzate per l’analisi LCN per evitare la contaminazione.
4. Non è stato assicurato un ambiente con pressione positiva per impedire la contaminazione.
5. Non sono state utilizzate procedure di sterilizzazione speciali per l’analisi LCN per distruggere il DNA alterato.
6. Tutto il campione è stato utilizzato per un unico test; non è stato quindi possibile eseguire un test di confronto.
7. Non è stato conservato alcun campione per riferimento futuro. Il test non potrà mai essere riprodotto.
8. Non sono stati eseguiti test di “controllo negativo” per verificare un’avvenuta contaminazione.
9. Non sono stati eseguiti test di controllo per verificare la contaminazione sul campo.
Potrebbero essere stati commessi errori in questa analisi. A differenza della dott.ssa Stefanoni, che ha dichiarato che nel suo laboratorio non è mai avvenuta alcuna contaminazione, io commetto errori. Potrebbero essersi verificati sei diversi problemi, se non una decina. Non possiamo conoscere i dettagli sulla manipolazione dei campioni nel laboratorio di Patrizia Stefanoni. E la difesa e la corte sono alle prese con gli stessi dubbi, come ha sottolineato il giudice Massei quando ha invitato la Stefanoni a fornire ulteriori informazioni al riguardo. In effetti, se si pensa alle discrepanze tra quello che si sostiene sia successo e quello che si vede succedere nei video che documentano la raccolta dei campioni, è chiaro che nemmeno la dott.ssa Stefanoni sa esattamente cosa sia accaduto durante la raccolta, il trasporto, la conservazione e la successiva analisi dei campioni di questo caso.
Ci sono forse un paio di situazioni in cui avrebbe dovuto saper cosa fare e invece qualcosa è andato storto. Un guanto non cambiato, come indica la piega nello stesso identico punto anche dopo che lei sostiene di averlo sostituito per prendere un altro campione. Un campione toccato da più di una persona, un altro trasportato in una confezione non sterile. Un campione recuperato e poi caduto per terra, accidentalmente o forse no, dopo che era rimasto su quello stesso pavimento per 47 giorni dopo il crimine.
Ma, soprattutto, in un ambito dove la sensibilità è portata alle estreme conseguenze, ambito limite e quasi etereo in cui i picogrammi hanno il potere di tutto decidere, è semplicemente impossibile che le normali procedure di manipolazione garantiscano di non contaminare i risultati. Sono molto più alte le probabilità che il DNA rilevato sulla lama del coltello da cucina sia stato contaminato, rispetto a quelle che possa rappresentare un campione valido da utilizzare in tribunale.
Un ringraziamento particolare al dott. K, amico e biologo molecolare, che ha riletto questi articoli.
Mark C. Waterbury è l’autore degli articoli di questo sito, che si occupano degli aspetti tecnologici del processo contro Amanda Knox e Raffaele Sollecito a Perugia.
Specializzato in scienza dei materiali, laureato in chimica e con più di 20 anni di esperienza, ha lavorato come ricercatore per la U.S. Air Force e come ingegnere e responsabile tecnologico per importanti aziende. Ha messo a punto varie tecniche di misurazione scientifica con revisione paritaria, ha registrato diversi brevetti e si è cimentato per anni su argomenti quali contaminazione e dati al limite del rilevamento. Ha lavorato per la NASA, il MIT e vari laboratori a livello nazionale su tutta una serie di progetti e ha curato revisioni tecnologiche per alcune delle aziende più importanti del mondo, prendendo in esame le opinioni di scienziati e ingegneri per separare il grano dal loglio.
“Nel corso della mia lunga carriera non mi sono mai imbattuto in una metodologia così profondamente e intrinsecamente viziata come quella adottata dalla Polizia Scientifica per questo caso. Ho quindi deciso di scrivere questi articoli, nel tentativo di mettere in luce una pericolosa negligenza scientifica. La mia speranza è che in questo modo le persone intravedano la verità e si possa fare giustizia in questo caso e ridare la libertà ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito”.
Mark C. Waterbury
28 agosto 2009