Monday, October 12, 2009

I sette peccati capitali del processo Knox/Sollecito

By Mark Waterbury

“Il peccato trascina al peccato; con la ripetizione dei medesimiatti genera il vizio.”
Abbiamo parlato di alberi concettuali scientifici, DNA, Luminol e altro ancora. Ora facciamo un passo indietro e addentriamoci nella giungla del processo Knox/Sollecito. Anche se la scienza è in genere indipendente dalle questioni antropiche, in questo caso non si può negare che risulti intrappolata in una giungla di intrighi umani. Una giungla strana, oscura e assai aggrovigliata.Tra prigione e processo, il calvario prosegue ininterrottamente da circa due anni. Ma la convinzione che ha determinato l’evolversi dei fatti ha preso forma già pochi giorni dopo l’omicidio di Meredith Kercher. L’investigatore capo Edgardo Giobbi ha fissato come punto fermo nella sua mente la colpevolezza di Amanda Knox e Raffaele Sollecito prima ancora di cominciare ad acquisire (e non parliamo di analizzare) una qualsiasi prova reale.

Si è vantato del suo successo davanti alle telecamere: “Siamo stati in grado di stabilire la colpevolezza osservando attentamente le reazioni psicologiche e comportamentali dei sospetti durante gli interrogatori. Non dobbiamo eseguire indagini di altro tipo perché il nostro metodo ci ha consentito di individuare i colpevoli in tempi estremamente rapidi.” Questo il risultato a cui era giunto prima ancora di sentire nominare Rudy Guede. Poche ore dopo il delitto, ha consegnato ad Amanda un paio di copriscarpe

e “il modo in cui ruotava i fianchi quando li indossava... ha attirato i miei sospetti verso di lei.”

Si tratta degli stessi investigatori che hanno erroneamente interpretato il significato dell’enigmatico messaggio di Amanda a Patrick Lumumba: “Ci vediamo dopo”. Loro hanno ipotizzato che volesse dire: “Vediamoci questa sera per commettere un terribile e insensato omicidio”. Poi è stato invece appurato che Patrick era assolutamente estraneo ai fatti. Nonstante l’assoluta assenza di indizi, o forse proprio per questo, un’attenta analisi psicologica ha consentito loro di stabilire una colpevolezza senza avere in m

ano alcuna prova. Potremmo definirlo un “crimine pensato”.

È questo il motivo per cui, a quasi due anni di distanza, anche se non sono ancora state reperite prove contro Amanda e Raffaele, gli investigatori continuano a insistere per un verdetto di colpevolezza. La loro idea è ben chiara e non si lasceranno certo confondere dai meri fatti riscontrati.

Questo è il peccato originale di questa indagine sull’omicidio: la Superbia, l’eccessiva fiducia nelle proprie possibilità.

Poi è stata elaborata la teoria del crimine, una storia avvincente che fa da contorno alla convinzione di colpevolezza. Tutto è stato fatto ovviamente ruotare intorno a un'orgia satanica finita male. Ovviamente per chi? Per il pubblico ministero, Giuliano Mignini. Non esistono prove al riguardo. Nessun avvenimento precedente, nessuna discussione, nessuna testimonianza. Nell’intero corso del processo non è mai stata fatta menzione di fatti del genere, nemmeno da parte dell’accusa. Solo qualche indiscrezione che ha raggiunto la stampa, generando tormentoni come “orgia satanica finita male”, appunto. E tutto questo perché due ragazzi (che scandalo!) avevano fatto sesso. E una di loro era americana. Si sa come sono, e questa è anche molto carina.

A tutto questo aggiungiamo una coincidenza temporale (il giorno dopo Halloween) e l’utile suggerimento di un blogger, che è entrato in comunicazione con lo spirito di un defunto per svelare un culto sessuale massonico di venerazione a Satana (non sto inventando nulla!). A Mignini non è servito altro. Il suo spirito pio l’ha spinto a vedere con gli occhi della mente lo stesso male sinistro con cui si era dovuto confrontare nel caso del mostro di Firenze. Più o meno lo stesso risultato, e un’altra tremenda ingiustizia commessa dallo stesso Mignini.

Qui individuiamo il secondo peccato capitale: Lussuria, un’innaturale ossessione per i piaceri carnali.


Durante l’interrogatorio di Amanda Knox, il risultato era predeterminato, l’unico dubbio era quanto ci sarebbe voluto, quanta pressione bisognava farle per metterle in bocca le parole che avrebbero deciso il suo destino. Non importa quante volte Amanda ha ripetuto che non sapeva nulla, che non aveva idea di chi avesse potuto commettere il fatto; gli investigatori le hanno detto che era stata lei e che avrebbe passato 30 anni della sua vita in cella se non avesse ammesso quello che a loro interessava ammettesse. Giorno dopo giorno, hanno continuato a interrogarla. Più di quaranta ore senza avvocato, senza che riuscisse a chiudere occhio la notte, senza un interprete, parlando in una lingua che conosce appena. Voi quanto avreste resistito?


Le hanno chiesto di immaginare il delitto, di figurarselo nella sua mente. Hanno tirato in ballo Patrick. Perché gli ha mandato quel messaggio sospetto: “Ci vediamo dopo”? Le hanno detto che Raffaele non confermava il suo alibi quando lei ha affermato che era con lui quella notte. I sospettati devono sempre dire la verità, e ripeterla a oltranza, senza cadere in errore o cambiare versione. Chi interroga invece non è tenuto a rispettare queste restrizioni.


E Amanda alla fine ha ceduto e ha detto loro quello che volevano sentirsi dire. Tuttavia, non appena ne ha avuto la possibilità, ha scritto che non ci si doveva basare sulle cose che aveva ammesso: “L'ho ripetuto molte volte, per farmi capire bene. Mi sembra tutto così irreale, come un sogno...”. Ma per l’accusa poteva bastare. L’avevano in pugno. Da quel momento in poi, la stampa ha parlato della sua “confessione” o “falsa confessione”. Tratterò nei dettagli la questione della stampa in un altro articolo.

Ciò che Amanda ha realmente detto nel cuore della notte, quello che è veramente accaduto, se c’è stata coercizione, non lo sapremo mai, perché l’accusa non renderà mai pubblici i verbali.


E qui è stato commesso il terzo peccato: Ira, l’emozione del falso virtuoso, che si manifesta come veemente negazione della verità”.



L’accusa ha adottato la tattica efficace e continuativa di rifiutare la presentazione delle prove alla difesa. Non si può dimostrare la falsità di dati non analizzati. E non è possibile analizzare i dati se non esistono. Il 30 luglio 2009, più di un anno e mezzo dopo che le aveva raccolte, l’accusa è stata finalmente costretta dai giudici a diffondere informazioni che aveva rifiutato di mostrare. Ma non ha abbandonato il suo atteggiamento reticente. Vi sono ancora molte informazioni che non sono state condivise, tra cui:


  1. I verbali dell’interrogatorio di Amanda. La polizia ha preso nota di tutto. Telefonate, conversazioni, chat. Nessuno può credere al fatto che l’interrogatorio di Amanda non sia stato registrato. L’assenza dei questi verbali salta all’occhio. Si parla di incompetenza per la mancata registrazione, incompetenza per aver perso le registrazioni o, più semplicemente, di occultamento di prove che non supportano la tesi dell’accusa.

  1. Le date in cui è stata eseguita l’analisi dei profili del DNA. Il coltello (che non coincide con le ferite) è stato prelevato dal cassetto della cucina di Raffaele dopo che è stata raccolta nell’appartamento la maggior parte del DNA che costituisce una prova. È quindi molto probabile che il sangue e il DNA di Meredith siano stati analizzati nei giorni immediatamente precedenti al test del DNA sul coltello. Questo costituirebbe un’ulteriore conferma che il risultato del test a basso numero di copie eseguito sul coltello è falsato da contaminazione. Il coltello sarebbe stato analizzato in un laboratorio in cui erano presenti tracce del DNA di Meredith. La dott.ssa Stefanoni e l’accusa si rifiutano di rendere pubbliche tali date.

  1. I risultati delle analisi del sangue nei punti che hanno reagito al Luminol. Le emissioni luminose ottenute con il Luminol evidenziano la “presunta” presenza di sangue, ma non sono certamente prove decisive. Il passaggio successivo è eseguire prelievi con un tampone nell’area in questione e utilizzare un test specifico per l’analisi del sangue. Non è possibile credere che questi semplici test non siano stati eseguiti. E infatti sono stati eseguiti, ma i risultati non sono stati divulgati, ovviamente perché non avvalorano la tesi dell’accusa. Sara Gino ha dichiarato: “Non ci è stato comunicato che le impronte erano prima state cosparse di una sostanza che doveva indicare se si trattava di sangue, e che i risultati sono stati molto incerti”.

Queste, e altre azioni ancora, possono essere ricondotte al quarto peccato: Avarizia, o l’accumulazione di materiali o oggetti, attraverso l’inganno o la manipolazione dell’autorità.

Nel mio ultimo articolo, I metodi della Polizia PseudoScientifica, ho affermato che “la maggior parte di queste persone sa bene quello che sta facendo”. Ho esagerato, e di questo mi scuso. Se si considera la serie di azioni incompetenti che hanno inanellato, è evidente che assai di rado sanno quello che stanno facendo. E queste rare volte sono in genere quelle in cui distorcono la realtà.

1. Gli esperti forensi hanno commesso molti errori. Tre dei quattro dischi rigidi che costituivano prove essenziali per il processo sono stati distrutti dagli “esperti informatici” della polizia: quello di Amanda, di Meredith e uno di quelli di Raffaele. L’unico disco rigido rimasto, quello del portatile di Raffaele, è stato inquinato dai tentativi della polizia di navigare su Internet. In questo modo, sono scomparse le prove alla base dell’alibi di Amanda e Raffaele.

2. Quando viene rinvenuta la vittima di un omicidio, la procedura standard prevede la misurazione della temperatura corporea e di quella ambientale per stabilire l’ora del decesso. Queste misurazioni devono essere effettuate il prima possibile per raccogliere informazioni accurate. Qualsiasi investigatore competente conosce questa regola. La temperatura del corpo di Meredith non è stata misurata fino all’1:00 del giorno dopo il ritrovamento del cadavere, più di 48 ore dopo la sua morte e decisamente troppo tardi per avere a disposizione informazioni significative.


Meo Ponte (La Repubblica)

Professor Giancarlo Umani Ronchi:“Ci è stato chiesto di stabilire l’ora della morte, ma ormai erano stati commessi errori imperdonabili. Primo tra tutti, la mancata analisi del cadavere da parte del coroner che è giunto per primo sulla scena del crimine.”

3. Una telecamera di sorveglianza posizionata dalla banca di fronte all’appartamento ha registrato tutti i movimenti avvenuti in strada e avrebbe dovuto riprendere l’assassino mentre entrava e poi usciva dalla casa. Purtroppo, la polizia non è riuscita a recuperare le registrazioni prima che venissero sovrascritte.


Per questo e altri motivi, la polizia si è macchiata anche del peccato di Accidia, evitando di svolgere il proprio lavoro.

Patrizia Stefanoni non disponeva né del laboratorio né degli strumenti adeguati per eseguire l’analisi del profilo di DNA a basso numero di copie, ma l’ha fatto ugualmente. Sono pochi al mondo i laboratori che svolgono questa procedura, perché si tratta di una tecnica nuova di cui non è stata ancora dimostrata la validità. Nel momento in cui sono stati eseguiti i test, il laboratorio della dott.ssa Stefanoni non aveva nemmeno la certificazione per eseguire l’analisi ordinaria del profilo di DNA. [Collegamento a DNA a basso numero di copie (parte II).] Il risultato è stato che ha eseguito test non conformi ad alcuno standard e ora si rifiuta di divulgare informazioni sul momento e sul modo in cui i test sono stati eseguiti.

Ha quindi ceduto al peccato di Invidia, il sentimento che spinge a credere che gli altri abbiano qualcosa che a noi manca.

Cosa c’è quindi dietro questo processo? Qualcuno sostiene che Mignini sia realmente convinto della colpevolezza di Amanda e Raffaele. Ma accontentarsi di una spiegazione così semplice sarebbe veramente da ingenui. L’Italia in fondo è la patria della “dietrologia”, la scienza dei fatti occulti che si nascondono dietro un evento, il che ci spinge a cercare la verità dietro l’ovvia facciata che ci si presenta. Preston e Spezi spiegano brillantemente questo concetto in Dolci colline di sangue - Il romanzo sul mostro di Firenze. “La dietrologia è l’idea che la cosa più ovvia non può essere la verità.”

E qual è la spiegazione dietrologica della motivazione alla base del processo?

È la Gola, vale a dire l'incessante spinta a perseguire fini quali denaro, posizione, potere. L’errore più comune che si commente pensando alla gola è ritenere che possa far riferimento solo al cibo. La gola indica l’eccessivo desiderio di consumare in quantità superiore rispetto a quella necessaria.

Ci sono carriere da costruire e carriere che potrebbero essere distrutte in questo terribile caso. Sono in corso azioni legali da milioni di euro, appese al filo di un verdetto di colpevolezza. Rudy, è noto, non ha denaro.

Eccoci dunque a un convito di innocenti, accerchiati da famelici ghiottoni. È una schiera festosa, capitanata da Mignini. C’è Patrick, in attesa del suo mezzo milione, e Maresca, che vuole conquistare per i suoi clienti decine di milioni e aspetta la sua parte. Ci sono quelli in attesa di una promozione: Giobbi, Stefanoni, Commodi e altri ancora. E ci sono persino i semplici poliziotti, che hanno condotto in prigione la sfortunata coppia la prima volta, pochi giorni dopo il crimine, con le sirene spiegate in segno di vittoria.

Ai golosi non resta che rinchiudere i due giovani innocenti in carcere a vita e avranno ottenuto quello che desiderano. Hanno sentito l’odore della celebrità e sono rimasti inebriati. Hanno denaro, ma ne vogliono di più. Ricoprono posizioni di potere, ma il potere non è mai abbastanza.

I golosi non saranno mai in grado di dire: “Basta!”. Questa esclamazione deve arrivare dall’alto. Dal giudice e dai giurati? Dal governo italiano? Dagli italiani stessi o dalla stampa? O, forse, da un'entità ancora superiore?


Mark C. Waterbury è l’autore degli articoli di questo sito, che si occupano degli aspetti tecnologici del processo contro Amanda Knox e Raffaele Sollecito a Perugia.

Specializzato in scienza dei materiali, laureato in chimica e con più di 20 anni di esperienza, ha lavorato come ricercatore per la U.S. Air Force e come ingegnere e responsabile tecnologico per importanti aziende. Ha messo a punto varie tecniche di misurazione scientifica con revisione paritaria, ha registrato diversi brevetti e si è cimentato per anni su argomenti quali contaminazione e dati al limite del rilevamento. Ha lavorato per la NASA, il MIT e vari laboratori a livello nazionale su tutta una serie di progetti e ha curato revisioni tecnologiche per alcune delle aziende più importanti del mondo, prendendo in esame le opinioni di scienziati e ingegneri per separare il grano dal loglio.

“Nel corso della mia lunga carriera non mi sono mai imbattuto in una metodologia così profondamente e intrinsecamente viziata come quella adottata dalla Polizia Scientifica per questo caso. Ho quindi deciso di scrivere questi articoli, nel tentativo di mettere in luce una pericolosa negligenza scientifica. La mia speranza è che in questo modo le persone intravedano la verità e si possa fare giustizia in questo caso e ridare la libertà ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito”.


Mark C. Waterbury

28 agosto 2009